L’azienda scozzese alla conquista dei consumatori cinesi
James Watt è un ragazzone con l’allure tipica, pizzetto e coppola inclusi, di chi ti si siede di fianco al bancone del pub di quartiere preferito in una serata uggiosa. In realtà è CEO di BrewDog, birrificio artigianale scozzese, colosso dal valore di mercato di circa 2 miliardi di dollari, con ricavi annui intorno ai 290 milioni di sterline. Nell’anno del Coniglio d’Acqua cinese (2023), l’azienda di Ellon è intenzionata, dopo il Giappone già permeato in accordo con Asahi, a colonizzare il più vasto mercato al mondo per consumi di birra, la parte più orientale del continente euroasiatico, la Cina.
La multinazionale, che oggi produce oltre 800 mila ettolitri di birra all’anno, ha un organico di 2.300 dipendenti ─ di recente sono saliti agli onori della cronaca alcune rivelazioni di lavoratori della multinazionale che hanno lamentato disumani turnover di produzione ─ e nel 2021 ha registrato una perdita operativa di 5,5 milioni di sterline, dovendo così congelare l’intenzione originaria di quotarsi sul mercato azionario di Londra. Anche le realtà imprenditoriali più geniali possono commettere errori: l’azienda scozzese ha pagato a caro prezzo la campagna a premi di lattine BrewDog “solid gold”, a conclusione della quale i vincitori collezionisti si sono lamentati quando hanno scoperto che in realtà gli esemplari erano solo placcati in oro.
In Cina l’azienda opererà grazie alla partnership con Budweiser, la celebre “Bud” del Mississippi, la birra più venduta al mondo, prodotta dalla brewing company Anheuser–Busch, collocata a St. Luis, Missouri, Stati Uniti. Oltre alla produzione di birra, James Watt vuole ampliare in Oriente anche la rete di BrewDog Bar, giunta oggi a 110 locali nel mondo, di cui solo uno in Cina a Shangai, aperto in piena pandemia nel 2020.