“L’aumento dell’offerta di uva a livello mondiale, il crescente consolidamento tra produttori, distributori e dettaglianti e il cambiamento dei modelli dei consumatori sono i principali fattori trainanti del mercato”. Sono queste le motivazioni addotte, secondo un recente rapporto, per giustificare l’attuale e futura crescita del mercato vinicolo statunitense. Infatti, secondo il report intitolato “U.S. Wine Market Size, Share & Trends Analysis Report by Project”, le vendite di vino (nazionale e importato) hanno raggiunto l’esorbitante ammontare di 66,97 miliardi di dollari.
E non è tutto: le dimensioni di questo mercato enologico ben localizzato dovrebbero raggiungere, secondo le stime, i 115,03 miliardi di dollari entro il 2030. Ma non è tutto oro quel che luccica. A dispetto dei numeri incoraggianti, sopraggiungono delle ombre sui giorni a venire. Ad esempio, solamente il segmento contente i consumatori con più di 60 anni è in crescita: questi individui sì, passano man mano a vini più costosi, una tendenza chiamata “premiumization”. I giovani tra i 21 e i 29 anni, però, bevono poco vino: il 35% di questi ultimi consuma alcolici, ma non la bevanda sacra a Bacco.
Sono molte le notizie, nelle complesse analisi di mercato, a rappresentare dei “falsi amici”, a nascondere delle insidie. Anche il fatto che, per la prima volta dopo anni, in California le forti piogge porteranno a un raccolto più abbondante del normale, non consente automaticamente un sospiro di sollievo: infatti è possibile che non vi siano abbastanza consumatori in grado di acquistare tutta questa offerta maggiorata, mentre le precedenti vendemmie scarse consentivano un ridotto volume di produzione, più adeguato alla domanda.